la rivoluzione che serve ma che non arriverà
È una riflessione che mi insegue da tempo. Nel silenzio dei miei passi nel bosco. Che silenzio non è mai… almeno silenzio umano sì, però. Capita che il richiamo di un vaccaro o del fungarolo di turno che cerca il compagno stridano talvolta anche nei valloni più lontani, risalgano dalle forre… Altrimenti quel silenzio è solo assenza di presenze umane (così si sente ciò che altrimenti non esiste neppure). Assenza di sapiens, assenza di impronta umana. Da qui nasce il senso di una rivoluzione da compiere prima possibile.
Secoli di storia non ci hanno ancora convinti del valore dell’humanitas. Proviamo a insegnarlo a scuola, ai nostri ragazzi. Quanto sia necessario riaffermare la lezione dei nostri antichi antenati, anzi di quanto sia importante farla rivivere per aggiornarla a quello che per noi oggi significa empatia, inclusione, apertura all’altro… ma non siamo riusciti ad estirpare le guerre, le violenze, le discriminazioni, i crimini degli uomini contro altri uomini. E mai ci riusciremo.
Siamo riusciti però a fare di peggio. Siamo riusciti a metterci definitivamente al centro dell’universo, facendo del nostro sentimento “umano” lo schermo per qualsiasi oltraggio alla natura. Abbiamo abbattuto i falsi idoli, gli oscurantismi, in qualche caso anche i regimi oppressivi. Per costruirne altri, nuovi, più insidiosi dei vecchi. Abbiamo sconfitto agenti patogeni, batteri, virus, contrastato pandemie, allungato la speranza di vita. Lo abbiamo fatto con determinazione, convinti di essere nel giusto. Ma non lo abbiamo fatto nel modo giusto. Lo abbiamo fatto dimenticando pezzi di umanità e distruggendo fette di pianeta.
I più saggi hanno provveduto e provvedono ad avvisarci che ci sarà un punto di non-ritorno. Che superata una soglia non riavremo più ciò che abbiamo distrutto. Hanno stilato documenti. Hanno promosso iniziative. Qualcuno continuerà a vederle come semplici banali occasioni di lucro. Qualcun altro come l’ennesima perdita di tempo (che si sa è danaro).
Non basta. Bisogna scrivere un nuovo paradigma nelle coscienze degli uomini. Bisogna tirare la leva del freno e fermarsi di schianto. O quella locomotiva prima o poi deraglierà. In nome di quella stessa velocità che ci sembrava la più grande conquista dell’era moderna.
Homo sum, humani nihil a me alienum puto è il celebre verso dell’Heautontimorùmenos. Dovrebbe suonare oggi in modo ben diverso. Homo sum, naturalis nihil a me alienum puto. Se sono un uomo, niente di ciò che appartiene alla natura mi può essere estraneo.
Ma!
Sublimare la natura predatoria degli esseri umani su un piano economico/sociale (la grande bugia borghese ottocentesca che ancora si propaga) è stato possibile perché si conservava l’indole dell’uomo ma si limitavano i danni (ovvero stato sociale, sussistenza, diritti). Ora che la partita dell’humanitas l’abbiamo vinta (cioè persa definitivamente perché ci è bastato non vedere per pensare che la schiavitù fosse sparita, i criminali estinti, i dittatori emarginati, la magia sconfitta dalla scienza, ecc.), occorre non perdere la partita della “naturitas”.
Se continuiamo a sbranarci a vicenda è perché questa è una legge di natura. Se erodiamo le fondamenta di ogni più piccolo ecosistema non avremo occasioni per tornare indietro. La perdita di habitat e la perdita di biodiversità a breve saranno irreversibili. E i sapiens pagheranno a caro prezzo tanta superbia mal riposta.
Se invece la rivoluzione fossimo in grado di compierla? se rimettessimo la natura al centro dell’universo?
In un solo caso, forse, lo faremmo: dovrebbe diventare conveniente, in senso strettamente economico.
Il timore è che quando lo sarà, conveniente, sarà anche troppo tardi!